Il libro in qualità di oggetto d’uso o riprodotto in rappresentazioni di pittura e scultura si candida a incarnare nel corso della storia una doppia valenza come strumento sapienziale e simbolo di questa caratteristica speculativa. La sua comparsa sulla scena dell’arte, spesso affiancato al ritratto di un lettore più o meno illustre, celebra l’emancipazione culturale e sociale, avvenuta nel tempo, di un numero sempre più vasto di categorie umane alla ricerca della propria identità pubblica e privata. Una conquista lenta e inesorabile che si accompagna all’invenzione della stampa e, dunque, alla graduale consapevolezza dei cambiamenti prodotti da una circolazione più veloce e ampia della cultura.
Espressione verbale, segno grafico, creazione pittorica vengono così a stipulare una longeva alleanza che si nutre della medesima facoltà immaginativa. Parola e disegno sono infatti due costellazioni complementari, che si possono pensare nello stesso cielo, che servono volentieri un comune intento divinante e, dunque, una natura similmente ispirata.
A dispetto di cori lamentosi annunciati da vessilli di resa – voci di un passato recente e già oltremodo vetusto – noi guardiamo alla vera antichità, autentica fonte di cultura. Diverse concomitanze ci stanno riconsegnando le tracce di una storia potente. I Fori imperiali rinnovano il loro splendore, anche attraverso il riposizionamento di trecentomila sanpietrini – pietra su pietra, passo su passo. Dopo mille e cinquecento anni si è riportata l’acqua alle Terme di Caracalla, elemento costitutivo e fondante di quelle architetture. A Piazza Pia riaffiorano il Portico e i giardini di Caligola.
Un’urbanità sepolta si scuote dal torpore e bussa alle soglie del nostro tempo, densa di messaggi, carica di attese. Ancor più sentiamo il bisogno di esserne custodi e interpreti. Raccogliere questi indizi trasmette forza alla nostra stessa idea di arte, di disegnatori e costruttori del contemporaneo. In ciò riprende vigore anche il convincimento che le idee non siano negoziabili. E quando sono veramente ispirate e sostenute dalla genuinità dei sentimenti diventano incontenibili.
Per questo rito di unione fra arte e scrittura il SetArt 2024 non poteva che tenersi a Roma.
Maghi, spiritisti, illusionisti, mesmeristi, ipnotizzatori, sensitivi. Professionisti dell’occulto a vario titolo e grado aleggiano fra bizzarri, per non dire improbabili, dagherrotipi, prodotti fin dagli anni Quaranta del XIX secolo. Locandine di eventi incentrati su numeri di prestigio, inviti a visitare misteriose sale dove si praticavano le sedute spiritiche o altri esperimenti di comunicazione coi morti. Fra i luoghi di maggior richiamo le cosiddette “stanze egizie” sull’onda di un ambiguo e fascinoso rapporto che da sempre lega l’egittologia all’esoterismo. In simili gabinetti orchestrati da sedicenti professionisti prendevano forma numeri ed esperienze che facevano leva su presenze e testimonianze di antiche civiltà, ritenute depositarie di poteri sovrannaturali. E ancora, al di là di manifestazioni più o meno credibili, divi assoluti, osannati da folle eterogenee ed incuriosite, come Harry Houdini, in aperto dissidio con l’attività di presunti medium e parapsicologi. Strumenti e materiali con cui approntare vere e proprie scene a tema, maschere, burattini, parrucche, stoffe (di solito i bendaggi venivano utilizzati per simulare il cosiddetto ectoplasma). E ancora, manuali, appunti, disegni autografi. È questo il vastissimo e in larga parte inedito apparato iconografico che accompagna il libro Die Kunst der Illusion. Magier, Spiritisten und wie wir uns täuschen lassen, pubblicato da Dumont nel 2019.
Testimonianze della mentalità e di una moda che attraversò buona parte dell’Ottocento, trovando una sponda assai stimolante nell’invenzione della fotografia, mezzo che si prestava a sperimentare e suggestionare come pochi altri fino a quel momento. Un fenomeno esteso che interessò trasversalmente i paesi occidentali di cosiddetta cultura sassone come anche quelli mediterranei. Alle latitudini italiane è risaputo che non ne fossero esenti letterati e uomini di cultura di differente formazione, anche in ruoli di spicco per quanto concerne la loro professionalità e in conseguenza la presenza pubblica. Lo spiritismo era in grande spolvero nei salotti borghesi di allora. Citiamo a titolo d’esempio la cerchia in cui si aggiravano Luigi Pirandello, Luigi Capuana e Gabriele D’Annunzio. Nel caso dannunziano non è trascurabile per il contesto il rapporto con l’architetto del Vittoriale, l’amico Gian Carlo Maroni, che si definiva occultista e sosteneva di esercitare la telepatia. A Napoli nel 1886, il poeta pescarese incontrò l’arcinota medium Eusapia Paladino, personaggio quasi leggendario. L’episodio fu poi oggetto di narrazioni parodistiche come quella che ne fece molto tempo dopo la rivista «Varietas» sul numero di maggio del 1919. Mentre durante la reggenza del Carnaro ebbe contatti con la poetessa e occultista triestina Nella Doria Cambon, nel cui casa si tenevano riunioni di natura spiritista frequentate dalla marchesa Casati, da Tommaso Marinetti, Ada Negri e Italo Svevo.
Non è infine trascurabile il ricchissimo, multiforme e screziato patrimonio libresco sulle arti magiche. Tali edizioni in non rari casi hanno alimentato biblioteche sorprendenti, “compendiato” luoghi di singolare natura ed eclettica fisionomia come le Kunst und Wunderkammern, alla stregua di talismani e altri oggetti rituali, offerto un banco di prova all’estro di stampatori che hanno fatto di queste opere dei veri e propri pezzi d’arte. Si rimanda, sempre nel panorama italiano, alla Bibliotheca Hermetica Verginelli-Rota, ricordando che Nino Rota è stato l’autore delle più celebri colonne sonore felliniane. Quanto a Vincenzo Verginelli, classicista, amico fraterno di Rota che aveva conosciuto a Bari nel 1939, dove quest’ultimo insegnava al conservatorio, è l’autore del catalogo di questa loro pregevolissima e rara creatura, alimentata dalla comune passione per la filosofia ermetica, soprattutto di matrice antica, e da un’inesauribile passione bibliofila. Aggiungo per chiosare che lo stesso Federico Fellini subiva volentieri il fascino di simili argomenti tanto che fu pure in contatto con Gustavo Rol.
Le collezioni librarie stimolate da curiosità di questo tipo attraversano a quel che pare le epoche umane e intersecano interessi eruditi, con radici ben piantate nel mondo greco, soprattutto del periodo ellenistico, e latino – si pensi ai papiri magici, raccolte di incantesimi, esorcismi, malefici, e sul fronte opposto del pensiero razionalista al De divinatione ciceroniano, agguerrita trattazione contro le pratiche degli indovini. Il citato volume tedesco, si pone come un dettagliatissimo catalogo d’arte sul “ritorno” moderno dell’animo magico restituito nei suoi diversi risvolti e per mano di sbalorditivi documenti visivi.
Di seguito altre immagini tratte dal volume oggetto di questa breve dissertazione
Per una lettura in chiave comica di alcuni luoghi comuni della magia e del macabro si consiglia la spassosa commedia all’italiana, Io zombo, tu zombi, lei zomba (disponibile su Raiplay). Un’improbabile combriccola di zombie, un ridicolo manuale di magia che custodisce una formula scandita a suon di “paraponziponzipo”, una parodia di categorie sociali e tipi umani degni di un’armata Brancaleone per spiritisti.
L’oracolo è voce e sentiero. Il verbo è il medesimo utilizzato da Archimede: anche lui desiderava scuotere il mondo attraverso l’immaginazione, affidandosi al potere del calcolo e della mente. Il XIV libro dell’Antologia Palatina raccoglie gli oracoli delfici accanto a enigmi, indovinelli, proverbi. Espressioni contigue e tenaci scaturite dalle millenarie fonti della cultura orale, e perciò degne d’ascolto.
Mentre assistiamo alle improbabili acrobazie dei nuovi dei, mentre qualcuno vorrebbe farci adoratori dei nuovi culti, la parola antica ci insegna a prendere le distanze, indica un approdo sicuro, risveglia la sensibilità calpestata. È la sostanza che non vacilla, il basolato che gli antenati scelsero per lastricare le loro strade, è il sasso levigato dal torrente nel respiro della montagna, la pietra che mani sapienti incastrano con l’altra pietra per tirare su i muri a secco a protezione dei campi.
Nelle fiabe degli antichi l’oracolo è l’inflessione divinante, la cadenza, la pura risonanza. Muti gli interpreti, sigillati i templi, su troppi luoghi il silenzio è sceso per far posto a idoli falsi e ignoranti. Anche sulle nostre stesse pagine, che per noi si legavano nel più sacro dei libri. Così i cattivi consiglieri hanno tentato il loro assalto. Ma la parola tace solo in apparenza. S’interra la parola, come seme, come sguardo che riposa. E in quel riposo vive, sensibilmente giace prendendo coscienza. Corpo in attesa della guarigione. Dicono il tesoro sia sepolto nel recinto della tenda: sposta ogni pietra! Metti in opera ogni arte, assimila ogni intento, sii forte, l’autentico non tarderà a mostrarsi.
Il fatto che molti luoghi nel ponente ligure trasmettano piuttosto intensamente la sensazione di una longeva e stratificata storia culturale, è qualcosa che posso testimoniare di persona e che segna in modo significativo l’incontro con queste realtà. Aggiungerei che l’idea di una simile densità emotiva lambisce il visitatore con sorprendente immediatezza e deriva a mio avviso da una singolare alleanza che qui si sperimenta fra realtà e surrealtà; si ha come l’impressione di toccare con mano qualche eco risalente da chissà quale lontananza. Mi spingo anche ad affermare che pagine luminose e fondamentali di molta poesia novecentesca non possono essere comprese se non si è trascorso del tempo proprio in simili località. È un tema a me caro e che ho portato all’attenzione in alcuni miei scritti. Non solo il più spesso citato Eugenio Montale, ma penso anche alla cosiddetta scuola di cantautori genovesi (la poesia-canzone), o a Paul Valéry. Sarà che sua madre Fanny Grassi era italiana, figlia del console italiano Giulio Grassi, originario di Genova, sarà l’influsso biologico e il legame affettivo ad aver contribuito alla sensibilità del poeta francese: è innegabile che certe sue immagini siano semplicemente e maestosamente liguri. I versi del Cimitero marino non si sarebbero depositati in me con altrettanta limpidezza, se non mi fossi fermata a Sanremo e non ne avessi visitato le intime e antiche sepolture a due passi dal litorale. E penso pure alla luce di Bordighera e ai suoi stessi sepolcri, quasi un monumentale giardino pensile ancora italiano ma per certi versi anche già francese.
Dunque, si va per immergersi nelle bellezze paesaggistiche e si scoprono personalità ingegnose che hanno animato e fatto la fortuna di molti abitati. Tornando a certi percorsi finalesi, occasione che di recente mi è stata offerta durante un mio passaggio alla mostra di Genova, Calvino cantafavole, ho avuto modo di recuperare la poesia di un cosmo sfaccettato e affascinante, venendo a conoscenza di aspetti di cui poco o nulla sapevo. Leggere infatti che proprio a Finale Ligure è nata la prima versione a stampa dei tarocchi, le carte del “gioco della vita” che tanta parte degli immaginari letterari hanno influenzato compreso quello calviniano, mi ha stimolata ad approfondire ulteriormente glorie e splendori del borgo. Del resto, la notizia del primato editoriale in una simile impresa non può lasciare indifferenti. Tanto da apparirmi come una sorta di crocevia universale, quasi che il gioco e la divinazione legati all’uso di queste singolarissime carte dipinte, fossero una metafora di tutte le arti e, in conseguenza, di tutte le possibili eccentricità riunite a tali latitudini. Ciò che ho scoperto non ha smentito la mia prima impressione.
Si è svelato un ritratto di cosmopoliti, bibliofili, esoteristi e astronomi che in una non ben precisata epoca installarono un primo rudimentale osservatorio sulle alture dell’entroterra. Un sito che dall’altopiano delle Manie al mare offre vedute spettacolari affiancate a un patrimonio artistico dal quale si evince una continuità territoriale rilevante in termini di presenze e memorabilia. Basti pensare che alcune grotte sovrastanti l’insediamento pare fossero occupate fin dal paleolitico. In età moderna, fra i notabili e possidenti locali, salta agli occhi la vicenda di Alfonso II Del Carretto, marchese di Finale, dove nacque nel 1525 per poi morire a Vienna nel 1583. La singolarità dell’uomo non sta solo nell’aver saldato un pezzo di storia ligure su quella mitteleuropea, legandosi in particolare alla capitale asburgica cui riservò trasferte sempre più frequenti fino all’espatrio e alla richiesta d’aiuto presso l’imperatore a causa delle minacce subite dal suo potentato. Ma il personaggio è ancor più degno di nota per essere stato l’artefice di un’avventura sapienziale di grande rilievo, ossia la raccolta di un cospicuo fondo manoscritto che servì ad istituire una ricca e sorprendente biblioteca. Il progetto infatti è il riflesso degli orientamenti, dei gusti e delle intenzioni di un uomo consapevole dell’incertezza della propria condizione di semi-esule e quindi esule, che credeva di rimpatriare ma senza esserne sicuro. Ciò che comunque lo ha ispirato in tutte le sue acquisizioni è stata l’idea di raccogliere una documentazione d’uso per la famiglia e ancor più per il marchesato. In sostanza, un disegno lungimirante che aspirava a caratterizzarsi come opera pubblica. Lo studio filologico della nota che raccoglie gli acquisti librari del marchese, fonte preziosa del dipanarsi della sua attività, si deve ad Anna Giulia Cavagna; una recensione molto dettagliata di questa ricerca, che aiuta a comprenderne metodi e contenuti, è liberamente consultabile in rete.
Vengo infine all’osservatorio astronomico finalese. Fra le alture montagnose dell’immediato intorno paesano la ricognizione archeologica del bric di Pinarella (o Pianarella) davanti al già nominato altopiano delle Manie ha rivelato segreti straordinari che ci portano assai indietro nei secoli. Sebbene molte siano le difficoltà nella lettura di un’area così, dove il terreno carsico e l’azione fortemente dilavante della pioggia rendono ben ardue le ricostruzioni dei contesti, si è tuttavia riusciti ad avanzare delle ipotesi con qualche punto fermo. Complesso cerimoniale, sepolcrale nonché osservatorio astronomico fin dalla notte dei tempi lo studio del posizionamento delle pietre in situ ci parla di un luogo sacro, frequentato e riconosciuto come tale nel plurimillenario avvicendarsi della vita umana da queste parti.
Tanto per non farsi mancare nulla Finale vanta anche un museo diffuso e un paio di anni fa è stata al centro di un’interessante iniziativa, volta a riscoprire la cultura dei tarocchi insieme all’associazione faentina “Le Tarot”, che ha collaborato alla realizzazione di una mostra ideata appositamente per valorizzare il borgo antico.
CODEBÒ M., DE SANTIS H., PESCE G. 2011, L’osservatorio in pietra di Bric Pianarella (SV), in “Astronomia culturale in Italia”, Società Italiana di Archeoastronomia, Milano, pp. 177–185. Stone Observatory/Academia.edu