Le vie dei borghi, alfabeti di antichi luoghi come passati sentimenti che ritornano. Uomini e terre che nel lungo avvicendamento del tempo hanno aperto i cammini ai sogni e all’arte.
Una narrazione culturale stratificata e sorprendente, peculiarità italiana ma non solo. Architetture sentimentali che fanno nascere il desiderio d’immettere la propria vita «dentro la calda vita di tutti», come dice Umberto Saba nei versi di Il borgo.
Quando nell’infanzia si sono posati gli occhi sulle poche case sparse di un crinale e anni dopo capita di passeggiare lì, è come penetrare una stagione sepolta in se stessi, ritrovare i segni di una lontana iniziazione. Marina Cvetaeva, scrivendo a Rilke, esprime l’attesa, il desiderio dell’incontro, attraverso l’identificazione totale fra paese e persona: «Ti aspetto felice come tu fossi un intero paese e completamente nuovo. Ti aspetto sul confine tra me e te».
Questo nodo emotivo che stringe l’umano fino a farlo divenire spazio e viceversa, questa intimità che si prova in un centro storico, in una strada che avvertiamo più familiare di altre, è forse la più immediata rivelazione in ciò che definiamo conoscenza.




































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