Scrittura, architettura, linguaggio figurativo


Proseguendo a scandagliare i rapporti tra scrittura e arte – di cui si è dato un saggio nel numero 45 di «Incroci» introducendo ai lavori di ricerca su Paula Modersohn-Becker – offriamo qui un contributo sugli immaginari letterari e artistici nell’Ottocento. Il presente saggio si concentra sul potere curativo che il nesso fra parola, anche nei suoi affioramenti dalle lingue antiche, e creatività è in grado di liberare, e lo fa da un punto di vista assolutamente insolito: il manifestarsi del neogotico nell’architettura piemontese. Entriamo dunque in contatto con un mondo che ha creato strutture per il ricovero, la cura, la ritualità a partire da un’idea sentimentale dell’umano, radicata nel territorio, sollecita nei confronti dell’altro e nella propria autorappresentazione. I progetti qui passati in rassegna non hanno ricevuto stimmate commerciali, non sono figli di mode istantanee ma si inseriscono quali tasselli di una storia, hanno qualcosa da raccontarci. Se ciò li rende in un primo momento, forse, difficili da avvicinare, una volta in sintonia con il loro messaggio scopriamo quanta lungimiranza racchiudano.

Giovanni Battista Schellino, architetto attivo a Dogliani dal 1818 al 1905, ha saputo dialogare con l’inarrestabile avanzata del progresso nella sua provincia senza subirne gli effetti né rimuoverli. Costruzioni come l’ingresso al cimitero monumentale doglianese, l’ospedale, la torre dei cessi, che si vorrebbe ora trasformare in sede museale, secondo un’idea coerente di valorizzazione e accoglienza, ci parlano di un’acuta rispettosa forza creativa, oggi più necessaria che mai.

Lo scritto a firma di Claudia Ciardi è accompagnato da un percorso visivo a cura di Daniele Regis –  responsabile scientifico per il settore architettura di “Il CuNeo gotico” e coordinatore delle attività su “Schellino 200” – che per questo volume ha redatto anche un ampio contributo in cui l’inquadramento storico e critico del neogotico piemontese si distende in un’originale trattazione dei temi dell’igiene e della cura nell’urbanistica del XIX secolo.  

Una trattazione condotta e sviluppata in sinergia con le attività scientifiche del Politecnico di Torino (dipartimento di architettura e design), il lavoro di ricerca prodottonell’ambito degli studi neogotici per “Schellino 200”, il dipartimento di scienze umane dell’università di Bari “Aldo Moro” che ha concepito il progetto “Malattia, parola, città”


Ulteriori rimandi:

Estratto breve del contributo di Claudia Ciardi uscito su «Incroci» n. 46

La taumaturgia dell’arte (su Linkedin)

Presentazione di «Incroci» n. 45 // Ut pictura poësis

Un tempo di natura prima che il tempo finisca

Il titolo dell’ultimo lavoro di Michele Pellegrino è più che eloquente e getta uno sguardo sul rischio di una perdita definitiva. L’essere umano infatti sembra vicino, come mai in passato, alla fine dei tempi. Il Novecento ha affilato le sue armi – armi terribili, congegnate per la distruzione di massa – attraverso cui molte stragi e devastazioni ha messo in atto. Nonostante l’umanità sia rimasta così a lungo sospesa sul baratro, tanto da pensare che avesse fissato nella propria mente ogni più atroce efferatezza che lì sia avvenuta, anziché prenderne le distanze pare ancora oggi esserne fatalmente condizionata.

Può darsi che questa sensazione di fine dei tempi sia stata anche delle generazioni che ci hanno preceduto. Certo, la seconda guerra mondiale dev’essere apparsa alla maggior parte come un’apocalisse, di sicuro la sua immagine terrena meglio riuscita.

La raccolta del grande fotografo piemontese appena pubblicata da Mondadori-Electa è una struggente riflessione sulla labilità, lo scivolamento che si va consumando, una caduta che si direbbe inarrestabile ma pure reca in sé la traccia per un’inversione di rotta. Basterebbe tanto poco, ad esempio iniziare ad ascoltarsi e posare gli occhi sull’incanto della natura, per volgere in meglio le nostre energie così disperatamente rivolte all’autodistruzione.  

Le Langhe, terra madre di Pellegrino, possono dirsi un osservatorio d’elezione per ragionare intorno a questo tema, in cerca di una risposta che forse sa un po’ di oracolo, non nel senso dell’infallibilità che agli oracoli si accompagna, piuttosto per l’intuizione e la limpidezza che viene da certe voci.

In una prossimità emotiva che attiene anche ai miei percorsi di scrittura fin qui intrapresi, si segnala la citazione dello studio su Paula Modersohn-Becker nelle note che introducono a questo lavoro. Le iniziative che in alcune zone del Piemonte – e non soltanto qui – si stanno portando avanti sia in architettura che nelle arti (recupero delle borgate, progetti di comunità, partecipazione di diverse personalità creative ai lavori di studio e ricerca per la loro realizzazione) rimanda, pur in contesti diversi e in una fase storica mutata, ai collettivi fondati in diversi luoghi d’Europa fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento – a partire dalle esperienze antecedenti di Barbizon – accomunati dal desiderio di un ritorno a un più autentico rapporto con la natura.

Si riporta integralmente la nota in oggetto con riferimento a Paula Modersohn-Becker e a uno spirito culturale che merita senz’altro di essere approfondito anche alla luce della complessa fase storica che stiamo attraversando.  

«È peraltro uno dei grandi temi dell’arte ottocentesca, dal romanticismo al neogotico, che nella radice romantica ha trovato nutrimento. Le comunità o colonie artistiche da Barbizon in poi, passando per Pont-Aven, fino ad arrivare a Murnau, Sylt, Worpswede nacquero come ritiri alla ricerca di un più genuino rapporto fra natura e persone. Si veda a proposito di questi intrecci una personalissima declinazione espressa in pittura da Paula Modersohn-Becker, illustrata dal saggio di Claudia Ciardi, Ut pictura poësis. Arte, parola e metamorfosi di Paula Modersohn-Becker, rivista «Incroci», semestrale di letteratura e altre scritture, numero 45, anno 2022, pp.118-131».

Peraltro in contiguità con l’approfondimento dei rapporti su letteratura ed arte, nel cui ambito questa trattazione ha posto in rilievo lo scritto di Elsa Morante su Beato Angelico.

Dalla prefazione di Daniele Regis, La poetica della luce, p. 27 (note 28 e 29) in Michele Pellegrino, Prima che il tempo finisca, Mondadori-Electa_Photo, 2022, edizione bilingue (italiano-inglese).


Si rimanda alla scheda della pubblicazione:
https://www.electa.it/prodotto/prima-che-il-tempo-finisca/

Ut pictura poësis


La parola di un artista non è qualcosa di accessorio alla sua opera. Non è una testimonianza che non possa viaggiare svincolata dalle immagini che ha prodotto.

Nella ricerca sul lascito manoscritto di Paula Modersohn-Becker questo è stato il principio che ha mosso il lavoro fin qui svolto. L’idea che le riflessioni affidate all’epistolario e al diario vivano di vita propria ha avviato uno scavo filologico negli usi lessicali e nelle suggestioni dell’autrice. Si sono pertanto rintracciati sfondi emotivi, echi e inedite corrispondenze.

Il numero 45 della rivista «Incroci» mi ha permesso di presentare i primi risultati di questo studio. Un esercizio di restituzione in lingua italiana della voce di un’artista che si è cercato di far affiorare nella sua spontaneità, senza forzati paragoni con la sua produzione pittorica. Non viene offerto nessun percorso prestabilito.
La coloritura verbale con la sua intrinseca capacità evocativa è un elemento autonomo in grado di orientare la sensibilità del lettore-osservatore. Toccare le parole, esserne toccati, senza preconcetti, senza esiti già definiti.

Un progetto a cura di Eleonora Beltrani e Claudia Ciardi.



Ut pictura poësis. Arte, pittura e metamorfosi di Paula Modersohn-Becker.
Rivista «Incroci», semestrale di letteratura e altre scritture, numero 45, 2022, pagine 118-131
ISSN 2281-1583

Paula Modersohn-Becker – La tecnica ruvida