Arte salvata, arte liberata

Ultimi giorni per visitare la mostra sull’arte liberata a Roma. Un imponente allestimento nelle sale delle Scuderie del Quirinale dedicato ai capolavori strappati alla barbarie della guerra. La storia di donne e uomini coraggiosi quanto generosi che profusero tutte le loro energie per salvare il nostro patrimonio culturale. Protagonisti di leggendari e rischiosissimi trasferimenti realizzati in tempistiche impossibili, con scarsità di personale e di mezzi, nella continua incertezza di uno scenario mutevole che celava insidie sempre nuove. Validi organizzatori, instancabili.

Sono qui riuniti i grandi nomi della storia dell’arte. Per citarne solo alcuni, Piero della Francesca, Guercino, Francesco Hayez, Hans Holbein, Lorenzo Lotto, Luca Signorelli, Paolo Veneziano.

Una cospicua presenza di autori provenienti dalle pinacoteche marchigiane ci aiuta a comprendere l’estensione e la diffusione della nostra arte. Giovanni Baronzio, Olivuccio di Ciccarello, Allegretto Nuzi ne attestano la potente capillarità. Tesori immensi sparsi in ogni provincia che rendevano arduo selezionare, accordare una priorità, decidere cosa fosse più importante salvare e cosa no – le Marche che molto hanno contribuito alla realizzazione di questo evento, sono state una delle principali mete cui avviare il ricovero delle opere da sottrarre alle incombenti distruzioni.

Per me anche un legame che si è idealmente rinnovato dall’incontro con le collezioni di Palazzo Buonaccorsi a Macerata all’inizio di quest’anno. Voltarmi e trovarmi all’improvviso di nuovo davanti a un’opera di Carlo Crivelli è stata un’emozione indescrivibile.

Carlo Crivelli, Secondo trittico di Valle Castellana, 1472 circa (dettaglio),
in prestito dalla Pinacoteca civica di Ascoli Piceno
Guardate quanto amore in queste espressioni e nei gesti /
Castello di Montegufoni, agosto 1944
Luca Signorelli, Crocifissione di Cristo (1500-1505, circa), in prestito dagli Uffizi

C’è una considerazione che letteralmente tallona il visitatore per l’intero percorso della mostra: “Cosa abbiamo rischiato!”. Il mio incontro con le fotografie delle opere d’arte per così dire trincerate, all’inizio del secondo conflitto mondiale, risale alle lezioni del liceo. Ricordo la mia professoressa che, mentre ci mostrava le lugubri riproduzioni in bianco e nero delle armature costruite intorno alle statue, scuoteva la testa dicendo: “Possibile mai che un paese come il nostro, con il patrimonio artistico che possiede, entri in guerra?”. Ecco, appunto, cosa abbiamo rischiato…

E come non pensare di nuovo alla Triennale di Milano del 2018-2019 dedicata alle distruzioni, dove il pubblico veniva accolto da un grande pannello in cui si elencavano i danni di guerra; un’impressionante quantificazione del patrimonio perduto.

Per la presente rassegna sono stati scelti dei fondali di legno che volutamente riproducono e ricordano le casse d’imballaggio dove i nostri capolavori sono stati deposti, trovando ricovero.

Non solo quadri e statue ma anche libri. Emblematico il caso della collaborazione fra l’inesauribile Fernanda Wittgens e la collega Mary Buonanno Schellembrid, direttrice della Braidense, impegnate nella messa in sicurezza del catalogo generale per autori della biblioteca. Intrecci femminili dove si stagliano figure volitive che rasentano la sfrontatezza – qualità in tal caso più che positiva, sollecitata dall’emergenza. La già citata Wittgens, e la fascinosa ma altrettanto risoluta Palma Bucarelli che, a bordo della sua mitica Topolino, scortava i convogli con le opere d’arte da trasferire, o ancora Noemi Gabrielli, una minuta ma coriacea signora di Pinerolo sulle cui spalle gravò la responsabilità di buona parte delle operazioni piemontesi per conto della Galleria Sabauda e dell’Accademia Albertina. 

* Fotografie di Claudia Ciardi ©


Arte liberata, 1937-1947. Capolavori salvati dalla guerra – Scuderie del Quirinale, Roma (16 dicembre 2022 – 10 aprile 2023)

Meraviglioso Carlo Crivelli

Carlo Crivelli, Madonna del latte, 1472 circa

C’è tempo ancora fino al 12 febbraio per immergersi nelle relazioni meravigliose di Carlo Crivelli a Palazzo Buonaccorsi (Macerata).

Una sede affascinante protagonista di un imperdibile omaggio al genio del pittore che amò l’interno delle Marche, luogo di Sibille e paesaggi incantati, al punto da legarvi carriera e vita.

Grande escluso dalla biografie vasariane, la personalità di Crivelli è forse tra le più sfuggenti nella storia dell’arte, complice anche l’infelice smembramento e dispersione subiti da molte delle sue opere.

In questa rassegna sono riuniti alcuni dei suoi maggiori capolavori oggetto di recente restauro.

Diceva Roberto Longhi che «l’opera d’arte non sta mai sola, è sempre un rapporto» (1950). Con lo spazio, con il tempo, con chi la osserva. Una relazione di volta in volta straordinaria e irripetibile come la vita di chi l’ha creata. Tanto che andare in visita in un luogo, decidere di avere un incontro con un artista in un contesto anziché in un altro, non sono scelte neutrali. Il luogo, il momento, la narrativa di un certo evento concorrono all’esperienza. Non è un caso che questa rassegna al Buonaccorsi sia introdotta proprio dalla citata riflessione di Longhi che peraltro ne ispira il poeticissimo titolo.

Protagonista del cosiddetto rinascimento adriatico, Crivelli ebbe con il territorio marchigiano un legame d’elezione, tanto che queste zone rappresentano per lui un museo diffuso, testimonianza vivente della sua creatività.

Una sala-Wunderkammer di Palazzo Buonaccorsi

E dove potevo trovare realizzata la mia idea di Wunderkammer al museo? Certamente qui, tra singolari atmosfere e magia.

Sarà che al primo incontro con i pittori pistoiesi fui battezzata all’istante “mani crivelline”, il che mi fece un po’ l’effetto dei nomi degli indiani d’America: nube che corre, nata sotto la luna, vento tra i capelli. Una cosa del genere.

Per me, dunque, l’affinità con Carlo Crivelli è di vecchia data e di natura del tutto singolare.

Fotografie C. Ciardi ©

Si veda anche il mio articolo:

Di foglie, Sibille e arte profetica

Su Touring Club Italia:

Crivelli e le Marche, una relazione meravigliosa

Terre nostre

In questo periodo, con l’avvicinarsi delle festività, assistiamo a una variegata offerta commerciale, anche nella cultura. Dopo il tempo sospeso e le interruzioni della pandemia è chiaro che si cerchino ripartenze un po’ in tutti i settori, ivi incluso quello creativo e dell’intrattenimento. Sebbene l’atmosfera anche adesso non sia delle più rosee, tra costi lievitati e meccanismi rallentati (la lunga coda delle incertezze scaturite dalle chiusure e rinfocolate dagli eventi internazionali) che impensieriscono operatori e fruitori.

Ciononostante, anzi proprio per le difficoltà che ancora persistono, è bello ricordare che sono in corso iniziative assai pregevoli nelle nostre province, le quali non riescono forse a raggiungere la risonanza di altri eventi, sostenute come sono da partnership pur importanti ma di non ampia esposizione mediatica. Appena fuori dalle “vie commerciali” troviamo tesori affascinanti e ricchissimi frutto di progetti ingegnosi, pieni di umanità e vivaci immaginazioni. In un quotidiano che mostra sempre e solo un volto arido e incline a disorientare, l’incontro con questi luoghi fa bene all’umore e alla mente.

Penso alla mostra in corso a San Giovanni Valdarno (Museo Terre Nuove e Museo della Basilica), Masaccio e Angelico. Dialogo sulla verità nella pittura (nell’ambito degli Uffizi diffusi), al Tiziano esposto in buona compagnia di Tintoretto e Veronese negli spazi del San Francesco di Cuneo (luogo pieno di suggestioni) e alla rassegna su Carlo Crivelli nelle sale di Palazzo Buonaccorsi a Macerata. Tre perle all’insegna della spiritualità, della vicinanza ai territori, di un raccoglimento necessario mentre la tempesta continua a scuoterci; tre antidoti contro un tempo richiuso su se stesso.

Il Valdarno (fra le altre eccellenze San Giovanni è anche la patria di Masaccio) in autunno e inverno mostra i suoi colori più affascinanti, e i sangiovannesi sono belle persone con il dono dell’accoglienza, come di solito accade nelle cosiddette “terre nuove” (grazie, amici, per l’utile catalogo che mi avete regalato e per esservi offerti di farmi da guida!).

Siate vicini alle vostre terre, perché c’è bisogno di radici, di memoria, di bellezza. Per risollevarsi c’è bisogno di immaginazione, non mi stanco di ripeterlo. È la nostra mente, l’energia della nostra mente che riversata all’esterno fa leva, scrolla, produce. Quando prima dell’estate sono andata in visita a Santa Maria a Monte ho visto molti “segnacoli” del progetto Terre di Pisa e ho pensato che queste iniziative messe in campo dai borghi per legare a doppio filo, arte, artigianato, piccole produzioni locali, turismo andrebbero vissute ancora di più. Vanno rese vive, nel senso di partecipate, bisogna divengano poli condivisi, aperti, cantieri di studio, ricerca, luoghi di confronto: musei, archivi, laboratori, scuole sono chiamati ad aprirsi il più possibile e cercare scambi, e auspicabilmente un’osmosi ampia, un’alleanza fra diverse progettualità territoriali. Perché c’è urgenza di creare lavoro, reclutare, assorbire risorse umane con immediatezza e certezza, non solo pensando al paio di concorsini da bandire ogni tanto, con i soliti metodi, le solite panie, esigendo dai concorrenti una formazione tutta a loro carico, impegolata anche quella e a rischio senescenza, rifacendosi a modelli ormai superati sul piano delle necessità economiche, della spinta tecnologica che non si può ignorare, dei profondissimi cambiamenti in atto in ogni settore.

Tornando sui tracciati del lungo percorso di studi neogotici e dei progetti messi in campo tra mostre e scritture in un confronto pluriennale, ho immaginato che ad esempio i Beni faro piemontesi potessero incontrare cammini d’arte e itinerari nei castelli di regioni limitrofe o anche lontane. Territori che verrebbero a intersecarsi, iniziative che ne genererebbero altre e potrebbero portare occupazione. Sul fronte delle materie umanistiche mi vengono in mente tante identiche possibilità di dialogo con altri settori scientifici e con attività di rilancio dei luoghi. Quando ad esempio ho partecipato alle giornate di Terra di Virgilio, nel mantovano, il programma aveva fatto da fulcro non solo ad altri eventi sulla poesia contemporanea ma anche a iniziative per il sociale, intrecciandosi con le visite ai beni culturali (dei bambini accompagnavano gli ospiti descrivendo i monumenti); giornate in cui città e dintorni si erano completamente aperte agli ospiti, determinando uno scambio di saperi e un coinvolgimento molto esteso. La socialità è un’altra dimensione importante che queste cose generano e di cui abbiamo estremo bisogno.

Penso ci siano tante cose da fare, soprattutto se vogliamo offrire qualche prospettiva concreta ai più giovani; propinare loro un percorso scolastico standard preconfezionato, che in Italia per giunta è ad alto rischio di impaludarsi, a maggior ragione ora che lo scivolamento in zone di povertà non è più un’ipotesi remota, significa voltare le spalle. Ci vogliono idee, flessibilità mentale, bisogna capire la portata dei mutamenti in atto e interpretarli. Senza immettere queste cose nei percorsi formativi, senza conteggiarli in risorse, sarà ben difficile creare altro lavoro.

Intanto immergersi nei nostri borghi, avvicinare i luoghi della spiritualità, stare accanto a cose belle e profonde aiuta a riflettere.

San Giovanni Valdarno, Museo della Basilica
Beato Angelico, Annunciazione, 1430-1432
  • Masaccio e Angelico, Museo delle Terre Nuove/Museo della Basilica a San Giovanni Valdarno, fino al 15 gennaio 2023
  • Le relazioni meravigliose, Carlo Crivelli a Palazzo Buonaccorsi di Macerata, fino al 12 febbraio 2023
  • Tiziano, Tintoretto, Veronese, al San Francesco di Cuneo, fino al 5 marzo 2023