Artigianato e arte del libro

Libri con legature in pelle e tagli artistici marmorizzati realizzati nel 1850

Il libro è un oggetto mutevole, che nel tempo si è adattato alle esigenze di committenti colti e appassionati come di un pubblico man mano più ampio, dall’invenzione della stampa in poi. Ha quindi adattato il suo aspetto ai diversi contesti sociali in cui si è trovato a circolare. Con il passare dei secoli è cresciuta la consapevolezza circa la sua capacità comunicativa, legata non solo ai contenuti ma ancor più per il suo aspetto, il formato, la carta, i tagli, trattandosi di un livello più immediato, più riconoscibile e che precede la lettura; qualcosa in grado di orientare la scelta del libro stesso. Nel corso dell’Ottocento le copertine divennero sempre più vere e proprie tabulae illustrate su cui fissare un’idea artistica, dalla scelta del colore ai caratteri decorativi fino alla grafica del titolo. Abbiamo già avuto modo di accennarvi in una precedente ricognizione sul cosiddetto libro dipinto.

Altrettanto vasto e affascinante è il regno dei formati che dal Medioevo in poi assecondano la richiesta di una committenza assai eterogenea, religiosa o laica, tentando di rispecchiarne le rispettive necessità pratiche. Il taglio miniaturizzato, la copertina scelta in modo da resistere alla lunghezza dei viaggi nel caso di aristocratici e mercanti o al ripetersi delle funzioni ecclesiastiche e ai frequenti spostamenti nei villaggi per l’opera di catechizzazione. Oppure alcuni assemblaggi con materiali di fortuna per risparmiare sui costi e dunque sui materiali; è il caso di alcuni “libri” scolastici per bambini, più simili alle tavolette d’esercizio usate già nel mondo antico.

Non è un’attitudine sporadica infine che librai e maestri rilegatori abbiano da sempre raccolto sfide personali a dimostrazione della loro perizia. Il produrre esemplari bizzarri e “difficili” era una sorta di biglietto da visita. Una tradizione longeva che si può ancora riscontrare in alcuni decani del mestiere. Ricordo un abilissimo artigiano libraio a Fossano che sfoggiava con orgoglio i suoi esemplari miniaturizzati, sostenendo che erano il frutto di una “tenzone” ingaggiata con un collega. È questa un’altra tradizione ben radicata nel mondo della legatoria, specie di appartenenza anglosassone, dove a quanto pare questi esercizi di pazienza ed eccentricità si sono conservati in maggior numero. È il caso di una serie di minutissimi libretti, grandi come la falange di un dito, creati nel corso dell’Ottocento, che ci è già capitato di indicare come secolo di follies editoriali, indirizzate a vari argomenti, con una preferenza per calendari, proverbi, previsioni astrologiche e almanacchi. Forse queste materie meglio si prestavano a sintesi estreme che quindi potevano ben adattarsi a formati davvero minuscoli. Come pure si può ipotizzare che tali coriandoli più che tascabili fossero pensati alla stregua di amuleti. Dunque al di là di oggetti a stampa fruibili in sé ma per quello che erano in grado di evocare. Ciò sembra peraltro alla base dell’attrattività che ancora esercitano in chi li contempla. Nesso tutto da esplorare. Una collezione di mini-libri simili a quelli appena descritti risulta censita e catalogata dall’università dello Iowa.

Chiudo menzionando la raccolta online apprestata dal professor Erik Kwakkel, medievista a Vancouver che, nell’humus poco considerato di tumblr, ha aperto una galleria virtuale di esemplari rari e notevoli, vere e proprie opere d’arte in forma di libri esemplificative di diverse civiltà e parti del mondo.  

The Ethiopian goat skin Bible

Almanacco con segnalibro in seta

Libro d’ore in miniatura proveniente da un’Abbazia benedettina in Austria

* Alcune immagini di queste rarità e la loro descrizione provengono dalla pagina fb “Osservatorio libri. Quotazioni”.

Hornbook_Children’s book

Altre curiosità sul sito “Ebook frendly”:
18 most creative books from the past and present

L’arte e l’archetipo

Tanagra in Toscana

Archetipo, forma primitiva, radice, matrice, primo volto. Creare è attingere al momento originale, chinarsi alla fonte dell’immaginario collettivo e berne le larve che vi affiorano. Dell’evocazione di questa delicatissima corrente, una sorta di flusso che compenetra chi si appresta all’opera e che si è soliti definire genericamente ispirazione, ho tentato una lettura in alcune mie pagine di recente pubblicazione.

La parola, derivante dal greco ἀρχέτυπον, assume in italiano quattro significati diversi che coprono altrettanti ambiti disciplinari: tecnico-artistico (da notare come la parola greca τέχνη congiunga le due sfere cognitive), filosofico, psicologico, filologico.

Così ci si riferisce al primo esemplare, il modello di un’opera cui altre simili e successive si orienteranno. Quindi nella filosofia, d’indirizzo platonico in particolare, il concetto di idee archetipiche rimanda all’essenza delle cose sensibili. In ambito psicologico, secondo le teorie di C. G. Jung (1875-1961), l’archetipo è l’immagine primordiale contenuta nell’inconscio collettivo, la quale sussume tutte le esperienze dell’umanità e della vita animale che l’ha preceduta, alimentando gli elementi simbolici delle favole, delle leggende e dei sogni. Infine, in filologia, si è soliti definire archetipo il manoscritto non noto ma ricostruibile con maggiore o minor sicurezza attraverso il confronto dei manoscritti pervenuti, da cui questi deriverebbero secondo i rapporti di dipendenza configurati nello stemma codicum, o albero genealogico. Ad esempio, non possediamo l’originale della Divina Commedia di Dante Alighieri – uno dei più clamorosi archetipi mancanti, rovello e passione per molti studiosi – ma talvolta la vicenda familiare dei codici pone in evidenza che l’archetipo stesso sia una chimera. Ossia nella genesi di un testo pare siano entrati in circolazione, fin dall’inizio, esemplari paralleli che rendono vana la ricerca di un solo capostipite.
Tale declinazione filologica è d’uso anche nell’archeologia e nella storia dell’arte: si dirà, statua che riproduce l’archetipo di Lisippo.

Il mio articolo per «Erba d’Arno» (quaderni 171-172), rivista pubblicata con il contributo della CR Firenze, indaga i nessi fra queste discipline, esplorando in che modo le arti e le diverse sfumature linguistiche di archetipo influiscano sia sulle realizzazioni creative sia sui meccanismi di fruizione delle opere stesse.

Accenniamo anche brevemente alla cosiddetta contaminazione fra le arti, come nel caso della poesia, della pittura e scultura. I rapporti e le influenze linguistiche fra Dante e Giotto, quindi i componimenti in versi di Michelangelo Buonarroti che hanno ispirato generazioni di artisti italiani e stranieri, fino all’età moderna, tra cui ad esempio gli espressionisti tedeschi.

«L’entusiasmo che si accompagna a certi ritrovamenti, a scoperte fortuite che all’improvviso ci riconsegnano fra le mani reperti millenari, è innescato da cotali suggestioni. La lontananza che si rifà vicinanza, l’idea di un destino comune che percorre l’umanità, la storia che s’incarna in un segno tangibile spingono l’onda emotiva che abbiamo visto in tante analoghe circostanze. Pensiamo a Tanagra o più recentemente a San Casciano dei Bagni o ancora ai nuovi ritratti del Fayum, affiorati dall’oasi alla fine di quest’anno, trascorso più di un secolo dall’ultima fortunata campagna.  Idoli del sacro e del profano, una quotidianità estatica che sopraggiunge a scrutarci, dee-madri che allattano, giocano coi loro bambini, impugnano il fuso, tessitrici che imitano il gesto delle Parche». (Claudia Ciardi, L’arte e l’archetipo. Specchio di vita immortale, giugno 2023).

https://www.tumblr.com/claudiaciardiautrice

Pistoia, una defilata città – solo in apparenza – ma da sempre spazio in fermento e fucina di molte iniziative. Capoluogo toscano meno frequentato dal turismo, crocevia affascinante di creatività e culture (da «Erba d’Arno» quaderni 171-172, rubrica “Editoria pistoiese”, pp. 132-133).


Calligrammi, una personale esplorazione nella mia scrittura del legame fra linguaggio verbale e figurativo. La riproposta sul mio profilo tumblr della prosa In ogni filo d’erba, omaggio ai borghi liguri, alla mia permanenza sanremese e a Giorgio de Chirico. Grazie a chi continua ad apprezzare questo testo (e a farmelo sapere!).