Si ama un luogo come si ama qualcuno

Sono convinta che quando una persona si è legata a un luogo, quando il suo destino l’ha portata a scrivere alcune pagine della propria vita in quello spazio, a partecipare emotivamente delle sorti di altre esistenze che lì si sono avvicendate, questo filo resti ben teso dove poi continua a camminare, ovunque i suoi passi procedano.

Michele Jamiolkowski, dall’Ucraina, dove era nato nel 1931 a Stryj (allora Unione Sovietica), è stato deportato da ragazzino e sopravvissuto ad Auschwitz. Mentre il padre, prigioniero insieme a lui, restò ucciso nel 1943, la madre poté miracolosamente riabbracciarlo a Cracovia a guerra finita. Una vita straordinaria e all’insegna del riscatto. Lo scampato pericolo della morte e il dolore si sono aperti a una carriera importante, ricca di soddisfazioni, consolidata al Politecnico di Torino, dove è stato professore di geotecnica dal 1969 al 2006. La sua maggiore impresa è stata l’aver stabilizzato la Torre di Pisa, riducendone la pendenza. Un lavoro meticoloso, complesso, con momenti di crisi acuta che hanno fatto pensare all’impossibilità di portare in fondo il progetto di messa in sicurezza. Coordinando un’ampia squadra di studiosi e maestranze – e di nuovo l’Opera del Duomo è stata cantiere vivo, partecipato, aperto al mondo – ha ridato vita, lui che ha avuto la sua stessa vita restituita, a uno dei monumenti più conosciuti al mondo. Undici anni (1990-2001) di preziose cure, ricerche, mani pazienti che hanno visitato, accarezzato, tastato i sussulti di questo antico corpo di marmo.

Stando ai rapporti annuali del gruppo di sorveglianza della Torre, creato nel 2001 subito dopo la riapertura, la cura Jamiolkowsky fruttifica ancora a distanza di molto tempo dall’intervento. La Torre recupera due arcosecondi all’anno, frazioni di millimetro. Sola e maestosa, spinge verso nord, opponendo la sua fiera lotta contro la gravità che dal 9 agosto 1173 (l’anno delle fondazioni) la attrae verso sud.

Così stamattina Salvatore Settis ha fatto divulgare il suo riconoscente saluto:


Lo scrittore ebreo tedesco Rudolf Borchardt, innamorato di Pisa, disse che solo in questa città il gotico aveva potuto acquistare tanta potenza drammatica, perché qui soltanto l’onda gotica si era rovesciata sull’ostacolo di un “grande stile” architettonico e figurativo già compiutamente espresso: solo da un simile urto poté nascere il dramma poeticissimo, l’incontro e lo scontro fra la classica «bellezza del sempre» e il gotico «amore del mai».

Jamiolkowski è morto il 15 giugno 2023, poche ore prima di una delle più importanti ricorrenze per la città. I festeggiamenti patronali che comportano l’allestimento di una suggestiva luminaria, ben nota anche all’estero. Così questi lumi in tale ricorrenza sono stati anche un po’ lucerne.

L’ora blu, guardando le luci verso il Museo San Matteo di Pisa, 16 giugno 2023

Una storia che ha unito la profonda tradizione politecnica torinese a uno dei più prodigiosi siti dell’arte mondiale. Grazie, Michal, caro, caro, caro. Ti sia lieve la terra.

* Fotografie di Claudia Ciardi ©

Mentre fuori c’è tempesta

Henry De Groux (1866-1930),
Madre con bambini in un rifugio

È già un paio di volte che mi accade di documentarmi sulla ricostruzione in Ucraina. Oggi mi è capitato che mi chiedessero se la guerra era finita. Cosa? Dove l’avete sentito? Rispondo io. E mi fanno: Non hai visto la delegazione che è andata a firmare per ricostruire? No. Comunque la guerra non è finita.

Anzi, da qualche giorno aleggia di nuovo l’incubo nucleare con la questione dei bombardamenti a Zaporižžja e la notizia che il gas sarà tagliato fino all’inizio di settembre (Nord Stream chiuso, ufficialmente per manutenzioni). In via più plausibile, ogni volta che c’è un’iniziativa sgradita a est – annessioni Nato, invio di armi, tavoli per la ricostruzione – la risposta non si fa attendere: grano bloccato, un attacco missilistico particolarmente distruttivo, centrali nucleari che si riaffacciano nella contesa. Stavolta, chiusura del gas da subito, preceduta dalla caustica dichiarazione di Medvedev che poche ore prima aveva liquidato l’intera classe dirigente europea come una compagine di inetti.

No, cari ragazzi miei, la guerra non è per nulla finita.

D’altro canto, la domanda e la conseguente discussione mi hanno fatto tornare all’inizio di luglio, quando a Lugano si è tenuta una conferenza per la spartizione delle zone da ricostruire. Non ci avevo dato molto peso, ma la cartina che mi era venuta sotto gli occhi qualche interrogativo me l’aveva suscitato. Come si poteva e si può parlare di ricostruzione mentre ancora infuria la guerra? Cioè, pensare a ricostruire non quando ormai gli esiti sono chiari, tanto da poter mettere sul tavolo piani certi, cronoprogrammi, risorse entro un quadro politico assodato, scaturito da un evento. Ma farlo molto prima, nella totale incertezza. Sarebbe un messaggio rassicurante, di solidarietà? Siamo sicuri? O forse l’ennesima presunzione, quel tarlo che purtroppo a ovest sembra infestante, di buttarsi nelle cose senza considerare le effettive condizioni in cui si opera. Da questo punto di vista la mia riflessione si collega alla precedente sulla fine delle illusioni di massa. E tra qualche rigo ci voglio tornare.

Prima però intendo concludere questa parte ricordando che nell’occasione della conferenza svizzera di luglio all’Italia sarebbe virtualmente toccata la zona di Donetsk. Forse la più problematica, anzi senza forse. Perché lì la guerra c’era da prima che scoppiasse nel resto dell’Ucraina. Otto anni di martirio nell’indifferenza del mondo – 268 bambini uccisi, altrettanti e più orfani di genitori, feriti e senza cure, costretti a star lontani da scuola perché esposti al tiro dei cecchini. Eppure delle associazioni di volontariato italiane erano presenti, alcune hanno anche girato drammatici reportage lanciando un grido d’allarme che nessuno ha raccolto – in tal senso l’assegnazione al nostro paese mi trova pienamente a favore, avrebbe un suo perché, una certa coerenza, per quanto sia una missione davvero ostica, che implicherebbe grande, grandissimo equilibrio soprattutto nella gestione politica e diplomatica. Ma questa precoce autoinvestitura mi lascia comunque perplessa. Sensazione che oggi torna insieme a tutta la mia precedente perplessità. Cui si aggiunge un’altra domanda: i Russi cosa pensano al riguardo? Ossia che ci arroghiamo il diritto a ricostruire sostanzialmente seduti a un tavolo unilaterale. Ma sì, i Russi staranno a guardare, proprio come hanno fatto in questi ultimi mesi, mentre noi diciamo a noi stessi: qui ci saranno queste delegazioni, qui invece si farà diversamente ecc… Siamo sicuri che funzioni in questo modo?

Infine, come costruisci la tua casa mentre fuori c’è tempesta?

L’iniziativa sarebbe ancora lodevole se funzionale a spingere verso un componimento decisivo del conflitto. In un quadro già avviato, ormai pressoché risolto. Ma noi non siamo nemmeno lontanamente a questo stadio, a parte le dichiarazioni a giorni alterni sulla disponibilità a negoziare o meno. Quali passi avanti nelle trattative di pace o presunte tali sono stati fatti?

Ed Henry Kissinger, questo quasi centenario che di recente è tornato a parlare con assennatezza, come anni fa, come negli ultimi mesi, ancora non lo ascoltiamo. Si dà invece il caso che questi signori del passato abbiano dato prova di essere molto più ragionevoli dei loro pupilli, che lo sono soltanto per un fatto generazionale, non certo per virtù acquisite (gli attuali settantenni alla guida oltreoceano). Rileggiamolo Kissinger: «Gli Stati Uniti sono sull’orlo di una guerra con Russia e Cina. È una situazione che in parte hanno creato Washington e la Nato, senza alcuna idea di come tutto ciò andrà a finire, o a cosa dovrebbe portare». (Dichiarazione apparsa sul Wall Street Journal, agosto 2022). Uno stato cuscinetto fra Russia e Occidente, disinnescare, raffreddare, fare qualcosa di controllabile dalle due parti, non un gioco delle parti, tenere al riparo la popolazione, grazie Henry! Ecco come bisognava agire, molto prima. Novantanove anni, l’unica mente lucida. Invece ad oggi abbiamo solo un massacro senza fine e l’incubo di un’enormità che ci tallona.

Ironia della sorte, ma qui adesso non ride più nessuno. Mentre andiamo ai tavoli di una paradossale ricostruzione (in piena guerra) la Toscana è stata travolta da un evento disastroso che, seppure di natura diversa, per i danni che si è lasciato dietro è almeno in parte assimilabile a un bombardamento. Tanti dei nostri alberi secolari sradicati, uccisi dalla furia della tempesta; quale tremenda metafora di ciò che attraversiamo, una metafora reale, viva e sconvolgente che ci riempie gli occhi, ovunque. Quindi, sul tema della ricostruzione ne avremmo di che riflettere e occuparci, anche alle nostre latitudini.

No, cari ragazzi, la guerra non è ancora finita.

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Alcuni fatti degli ultimi giorni sul fronte ucraino, che dalle nostre parti sono stati anche di emergenza meteoclimatica. Leggendo in sequenza si comprende a che livello di incomunicabilità siano gli attori in campo.

20 agosto/ giorno 178

Deputato Gb: la Nato deve intervenire se c’è fuga radioattiva a Zaporizhzhia

Media: abitanti russi lasciano Sebastopoli dopo le esplosioni in Crimea

Arera, Besseghini: oscillazioni del costo del gas, strategia chiara della Russia

Illeso il sindaco di Mariupol dopo tentato omicidio. Lo riferisce l’agenzia di stampa Tass

Mosca: la guerra è iniziata per minacce inaccettabili da Kiev

Onu: sbloccare export da Russia di alimenti non sanzionati. Appello di Guterres durante la visita a Istanbul

19 agosto/ giorno 177

Zelensky ringrazia Biden per nuovi aiuti militari

Nato: ad agosto incontro Finlandia, Svezia e Turchia su allargamento

Tensioni in Lettonia per la rimozione di monumenti sovietici

A Londra Saatchi Gallery cancella una mostra d’arte ucraina organizzata da un russo

In una lettera all’Onu Mosca denuncia “provocazioni” a Zaporizhzhia

Gazprom: stop ad unica turbina di Nord Stream il 31 agosto per 3 giorni di riparazioni

18 agosto/ giorno 176

Zelensky: “Negoziati possibili solo se i Russi si ritirano”

Mosca: la Russia schiera missili ipersonici a Kaliningrad

Rutte a Stoltenberg: bisogna ancora armare l’Ucraina

Kiev: raid russo su condominio Kharkiv, il bilancio sale a 12 morti

Russia: chiuderemo la centrale di Zaporizhzhia se gli attacchi continuano

Erdogan proporrà il cessate il fuoco nell’incontro a Leopoli


La mostra cancellata – Ancora ingerenze nell’arte, l’unica patria che dovrebbe restarci libera.

  • Riporto per intero la notizia da «Rainews» (19 agosto 2022)

La Saatchi Gallery di Londra ha cancellato una mostra di arte contemporanea ucraina dopo una protesta sui social media dovuta al nome del responsabile dell’organizzazione dell’evento, il banchiere e collezionista d’arte russo Igor Tsukanov, assistito dal collega russo Marat Guelman come consulente. “The Ukrainian Way” avrebbe dovuto esibire le opere di 100 artisti ucraini presso la galleria dal 3 all’11 settembre con tanto di asta di opere. Tra i partner l’M17 Contemporary Art Center di Kiev e nel comunicato stampa era indicato che tutti i proventi sarebbero andati a “enti di beneficenza che sostengono l’arte e la cultura ucraine, tra cui l’Art for Victory Fund e l’Ucraino Emergency Art Fund”. “La Saatchi Gallery non era l’organizzatore o il curatore di ‘The Ukrainian Way’ né era coinvolta in alcuna comunicazione diretta con gli artisti o i collezionisti”, ha affermato l’ufficio stampa della sede in una dichiarazione a The Art Newspaper, citato da Cnn. La galleria aveva donato il suo spazio con l’obiettivo di “promuovere artisti ucraini e generare fondi di beneficenza a beneficio dell’Ucraina” e il suo “coinvolgimento nel progetto era basato sul coinvolgimento delle principali parti interessate ucraine”, continua la dichiarazione. “Abbiamo ricevuto assicurazioni da queste parti interessate che il progetto era da loro pienamente sostenuto. Una volta che è diventato evidente che il sostegno di alcune di queste parti chiave era stato ritirato, insieme alle segnalazioni di preoccupazioni sollevate dagli artisti negli ultimi giorni, la Saatchi Gallery ha immediatamente preso la decisione di annullare la mostra di dieci giorni e ritirare il suo sostegno al progetto”. La galleria ha annunciato che lavorerà con l’Istituto ucraino, che promuove la cultura ucraina a livello internazionale, per “trovare il modo di mostrare le opere degli artisti ucraini, sensibilizzare sulla situazione inaccettabile in Ucraina e generare fondi per sostenere la cultura ucraina”.