Quando rinascono gli dei

Veste con fiordalisi. Dettaglio della Venere di Sandro Botticelli (figura femminile alla destra della dea)

Al giorno d’oggi capita di vedere gli dei rinascere. Cartonati, in maglietta, si presentano al pubblico, posano per un selfie tra i monumenti o si godono sfondi balneari. La divinità veste panni umani, tecnologici, al passo coi tempi – non fanno che ripeterlo, forse più per autoconvincimento. In tanti guardano e criticano – piovono meme da ogni dove, il modo più diretto per irridere, un bizzarro regolamento di conti (con qualche spunto simpatico, bisogna ammetterlo) interno al social network. Alcuni, ma meno, procedono all’opposto e affermano che è un successo proprio perché se ne parla così tanto. Pubblicità che si autoalimenta – anche questo secondo l’imperio social. I diretti interessati, che hanno presieduto al rito di rinascita, ringraziano, proprio perché si è fatto da subito un gran parlare e spippolare.

Del resto, con il velocizzarsi della comunicazione, direi con l’ascesa del suo carattere istantaneo, va di moda affermare che una cosa viene legittimata dalla forza con cui irrompe e s’impone nel dibattito. Che si tratti di un brutto episodio o di un bel gesto è secondario. L’importante è che se ne parli. Di sfuggita facciamo notare che la tendenza cui si assiste è quella che incensa la pessima fama. Vagamente aleggia il pensiero di Napoleone: parlate bene, parlate male… A quanto pare il condottiero francese aveva già carpito il segreto di autorevolezza (e metriche!) molto prima dell’avvento di internet.

Qualcuno sostiene che si tratta di critica per partito preso. Quale partito? Se oggi vi è una certezza, è che non si sa più con chi si parla. Un giorno siamo di potta e un giorno di culo – nell’esprimere una bassezza dei nostri tempi scendo volutamente di registro, adatto anch’io la comunicazione.

Nell’ultimo Sanremo abbiamo assistito ai vistosi sdoganamenti di Instagram – il motto era instagrammatevi tutti… che così risolviamo i problemi (questo lo aggiungo io) – e ai calcioni menati alle povere rose ornamentali del palco. Operazioni mediatiche, cui la prevedibile polemica del giorno dopo ha dato forza. Innalzamento dell’hype… ho detto hype, giuro che non è una parolaccia [“montatura pubblicitaria”; tradotto per noi comuni mortali] come social comanda. La mattina successiva al raptus Blanco spopolava nei trend, mangiandosi tutto. E infatti chi voleva cavalcare a sua volta un po’ di quella visibilità si è affiliato e affidato al suo traino.

Butto lì ancora un paio di riflessioni. La Venere pop di Andy Warhol continua ad avere un senso. La guardo, non mi urta per nulla, anzi. Tuttavia alla luce delle attuali dinamiche, qualcuno ha finito per identificarla con l’inizio di un processo di desacralizzazione (o sacrilegio) dei grandi classici. Comunque la si pensi, rimane la proposta di un creativo che costruisce un linguaggio per conto proprio (non un esperimento dell’IA, non un ammiccamento alle logiche del mercato virtuale). Gli improbabili e disarmonici patchwork, i mixage ispirati dagli influencer, le citazioni e i rimbalzi da account affollati, che poi si scoprono seguiti da identità-non identità, insomma quest’arte fluida, posticcia, ineducata e che dunque non potrà educare, è figlia nostra, nata dalla digital economy. Il mio assunto è molto semplice, perfino banale – ma ovvietà per ovvietà, preferisco il luogo comune ad ogni sovrastruttura pacchiana. Io dico che Sandro Botticelli è il miglior influencer in proprio che si possa immaginare. Quello che gli si mette intorno o, peggio, davanti, non è nulla o quasi. È un momento scenico, quindi effimero. Quando non si limita ad essere impacciante, scade nel ridicolo. Ciò significa infine prestare il fianco a un’economia di cartapesta – non lo dico io ma autorevoli analisti intervenuti anche poche settimane fa, dopo il crollo delle banche regionali in Silicon Valley. Tutto allora è sembrato esplodere in un attimo per poi, c’era da scommetterci, riassorbirsi alla velocità della luce; peccato che ancora non si sia fatta chiarezza sullo stato di salute di molti degli istituiti regionali coinvolti. Basti questo dato, che dovrebbe farci trasalire. In una settimana sono stati stampati 400 miliardi di dollari. Praticamente risulta che per tamponare la falla si è prodotto un debito equivalente a quello accumulato in duecento anni di storia economica degli Stati Uniti.

Quando gli dei rinascono open e social è sempre un evento. Così affermano. Quale sia il senso non importa. Ed ecco servito lo scotto che paghiamo all’essere anche noi rinati digitali. Chiudo dicendo che non demonizzo a prescindere certi strumenti di comunicazione. Ma il punto è nobilitarli, se possibile. Innalzare il livello. Renderli funzionali a divulgare qualcosa di non scontato, perciò provando a utilizzarli in modo non convenzionale. Poi ci sarebbero le questioni in fieri relative all’uso dei dati, alla privacy, alle profilazioni più o meno selvagge, al copyright degli artisti che non approfondiamo qui, ma che non sono di secondaria importanza per rendere infine credibili questi contenitori.

Avevo già avuto modo di scrivere che la discussione sui cosiddetti nuovi media è solo agli inizi. Ne sono profondamente convinta. Come sono convinta che certi canali possano aiutare a smuovere l’aria asfittica di alcune inviolate stanze. Ma ci vuole intelligenza. Perché a scadere nella corrente della diseducazione ci si mette un secondo, il tempo di un click.

John Dewey è stato uno tra i pensatori che maggiormente hanno contribuito al dibattito sulla fruizione dell’arte. Il fine educativo è per lui inderogabile. Lo accosto volentieri a Fernanda Wittgens, fra le menti più moderne e aperte nella cura del nostro patrimonio culturale, che molto si è spesa anche in qualità di educatrice, la quale era convinta che «i tanti intellettuali ignavi e asociali sono i veri responsabili della tragedia italiana». Come darle torto. Questa frase me la voglio incidere su una parete. Che danni fa la spocchia, che disastri la saccenteria. Queste sono le vere cose contro cui fare argine. Altrimenti il paese invecchia ancor più che nel bios nei cervelli. Il che è la vera iattura. Allora, meglio mille volte chi smuove l’aria. Se poi sbaglia o fa qualche scivolone, va anche bene. Basta non rimanere fermi. Sul resto, sono più che certa sia possibile trovare una misura. Purché non si perda di vista la realtà. Quando si pensa al turismo, oggi, è d’obbligo lanciare strategie indirizzate a distribuire i flussi, gettando un occhio (meglio entrambi) alla sostenibilità, aprendo letteralmente vie nuove. Quindi servono prima di tutto le infrastrutture. Come copro i quattro chilometri dalla stazione alla fortezza di Talamone? Un esempio che vale per tantissimi itinerari. Con la bella stagione le piste ciclabili sarebbero la cosa più semplice, senza impatto ambientale, comode, piacevoli. Solo che in Italia non ci si è mai voluto investire più di tanto. È un esempio fra i tanti. Insomma, la vera rivoluzione io credo stia nel saper interpretare e coniugare esigenze diverse, ispirati da valori ben distanti dal mero e insostenibile consumismo.

Venere in una pittura pompeiana

Di seguito un paio di articoli per approfondire alcuni temi toccati in questa riflessione. Il primo sulla campagna Open to meraviglia. Un buon articolo. Va in direzione contraria e chi dice cose in direzione contraria mi piace. Anche se non concordo con l’idea base di “bersaglio grosso” e “bersaglio piccolo”. L’Italia è il paese per eccellenza del patrimonio diffuso. La somma di queste meraviglie diffuse sul territorio fa il cosiddetto bersaglio grosso. È una questione di riorientamento del punto di vista, un problema nodale per i motivi che ho spiegato a conclusione del mio scritto.

Open to Meraviglia: top o flop? su «La Svolta»

Poi un vivace commento sull’ascesa mediatica di Chiara Ferragni. Credo che sul suo passaggio a Sanremo si sia scritto un articolo al minuto, un po’ come per il dibattito su Open to meraviglia, dove del resto, e a ragione, si è rilevata una discreta presenza di “ferragnizzazione”. Ripropongo questo articolo non in quanto pamphlet sul personaggio che si sa essere estremamente divisivo e rumoroso ad ogni colpo di tastiera, ma perché è molto interessante l’analisi sulla sovrapposizione fra life e content, che a mio avviso aiuta a capire in quale “gioco” (o assillo) siamo immersi.

Chiara Ferragni, il racconto dell’ancella dell’algoritmo su «Rivista Studio»

La crisi energetica e la fine delle illusioni di massa

“Tempête de Neige” exposé en 1842 de J.W. Turner // Snow Storm – Steam-Boat off a Harbour’s Mouth making Signals in Shallow Water, and going by the Lead


Il viaggio di massa è una pia illusione della nostra epoca mistificatoria. Eh, sì, a quanto sembra stiamo trascorrendo le vacanze più care da cinquant’anni a questa parte. Ma diciamoci la verità, il tanto sbandierato low-cost, destinato a movimentare legionari con poco tempo a disposizione in cerca di traiettorie turistiche, non è mai stato, neppure quello, alla vera portata di tutti. Tutti, come mi ripeteva la mia professoressa d’italiano al liceo, non vuol dire un bel nulla. Il tutti amato da certa sinistra autoreferenziale ed elitarissima è una categoria sbrigativa e furbina che non definisce nessun soggetto e oggetto al suo interno – anzi è per lo più un interno destinato a restar vuoto. Adesso pure scaduto.

Che il meccanismo si è rotto, ce lo mostrano i tanti crescenti disservizi che condizionano il nostro quotidiano. A partire dal trasporto pubblico locale – aumenti pesanti nella bigliettazione di bus e metro – un extraurbano valido per circa un’ora di viaggio ormai costa da 2,60 euro a 3,50 euro – settore che sconta tagli netti in termini di corse e tratte servite. Eppure, si era annunciato che bisognava in ogni modo incentivare le persone a utilizzare di meno la macchina, perché siamo a un punto di non ritorno e stiamo letteralmente morendo d’inquinamento. Il dopo covid, si diceva, sarebbe stato il periodo della presa di coscienza, del cambiamento delle nostre abitudini. Ma in Italia il costume di regalare la macchinina nuova al nipotino neodiciottenne evidentemente non tramonterà mai! Chi non può si arrangi! Questo costume influenza anche i colloqui di lavoro, ma nessuno lo dice: lei è automunito? Eh, allora…

L’unica cosa che negli ultimi tre anni ha scandito le riaperture (un pendolo delirante che mi domando come sia stato possibile accettare senza una vera protesta), l’unica aspettativa nutrita con assoluta enfasi, è stato l’agognato pronti-partenza-via; di anno in anno, a dispetto di una pubblicistica alquanto incoerente e fastidiosa, in tono sempre minore. Fatichiamo, ma mostrarsi funamboli sull’orlo del baratro è stato impagabile!

Si era detto, facciamo uno sforzo, rinunciamo a qualcosa di ciò che nutre il nostro sconfinato egoismo… Ora ci troviamo a mettere in conto gli scioperi a tappeto nel settore EU dei trasporti, riflesso della situazione di disagio appena descritta, e se si aggiungono i danni da meteo tropicalizzato, non so dove andiamo. Avremmo pur potuto fare una riflessione. E invece, aeroplanino low-cost (che low-cost non era più già prima del covid), tanto per le bassissime aspirazioni che orientano il nostro vivere va benissimo, ancora un po’ d’inquinamento massivo a corroborare gli eventi, ed ecco la felicità a prezzo di favore, almeno così sembra. Nella finzione che quello che si sta preparando, anche in termini di tempesta economica alle porte – per non dire della guerra, ma noi ora siamo in vacanza – non ci sia o non ci toccherà. Perché certe persone presumono ancora di non essere in alcun modo toccate.

Buon per chi sta affrontando (all’apparenza!) con disinvoltura tutte le voci di spesa al rialzo (mezzi di trasporto, bollette, rate, tasse…). Fosse solo un problema di villeggiatura. Certuni sembra che vivano su Marte – non scossi dai problemi, puntualmente aiutati, sostenuti… Del resto, è da tanto che si pensa a Marte anziché alla Terra. Infatti, che vogliamo che sia. Un po’ di raffiche di vento tra i 140 e i 220 km/h, tanto siamo su Marte.

Una sera a Padova, poco prima dell’inizio di questa torrida estate, mentre camminavo in centro, dopo un pomeriggio di afa anomala, si è alzato un vento pauroso. È stato un fenomeno repentino che, se avesse investito la città con più forza, avrebbe provocato danni e feriti. Nonostante mi fossi subito messa in cerca di un riparo, quando ci si trova nel bel mezzo di una cosa del genere – e mi è già capitato altrove sia in montagna che in città – si hanno solo pochi secondi a disposizione. C’è da sperare di non essere in un luogo troppo aperto o che il fenomeno perda presto d’intensità. Il mattino seguente ho visto le immagini della devastazione nella campagna veneta, dove quel vento si era abbattuto con molta più foga. Decine di cedri secolari erano stati sradicati e scagliati via, come fossero ramoscelli.

In tutta sincerità, con i problemi che si abbatteranno su di noi tra non molto, preferisco aver vicini i miei miseri terrestri, che hanno avuto le loro umane difficoltà dovute a tre anni di chiusura, al caro tutto, ai regressi che questa indicibile situazione ha comportato nelle vite di ognuno. Nel frattempo, anziché continuare con i castelli in aria, hanno capito un po’ più di cose e perciò sono in grado di ragionare sulla vita in modo più obiettivo e sincero. Agli altri dico, vi prego, non consigliatemi “il metodo” Ryanair, le vacanzine striminzite, e in generale un qualcosa che non c’è più e che a voi sembra ancora durevole, e peggio ancora, fattibile. Finalmente, timidamente, qualcuno ha detto che così non si riuscirà più a spostarsi, prevedendo al contrario l’aumento di treni per i collegamenti in tutta Europa e fuori dal continente. Nel futuro del mondo, se vorremo che ci sia un futuro, bisognerà ritrovare ritmi lenti, bisognerà saper assimilare e rispettare lo spazio che attraversiamo, se vogliamo inquinare di meno e trarre una vera esperienza da ciò che visitiamo, dove andiamo a mettere i nostri piedi che sono il primo strumento di contatto con la terra. Il che implicherà anche una rivoluzione nel lavoro, con maggior attenzione ai tempi di riposo del lavoratore; i lavoretti, lo sfruttamento brado del personale nei servizi, il falso low-cost, nell’attuale quadro non hanno esiti.
Per quanto mi riguarda, coi Marziani non ci parlo più da tanto – a fine conversazione, non c’è mai vero scambio e ci si allontana da loro sentendosi sempre inadeguati, sbagliati e stupidi. A maggior ragione adesso! E tuttavia, poveri i miei transfughi, che tra qualche settimana saranno costretti a tornare sulla terra e a restarci per molto tempo.